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Firma Sergio Figuccia Titolo Sergio Figuccia

Pino Schifano - Rassegna stampa e critica

Recensioni di PINO SCHIFANO

Gennaio 2002

All'inizio del nuovo Millennio (o alla fine del precedente, come vi garba), insomma nel gennaio 2000, Sergio Figuccia in arte Serfì spaccò il mondo in mille frammenti; quelli di un gigantesco "puzzle" pittorico in cui le esuberanti tematiche sociali dell'autodidatta pittore palermitano sono state sezionate in figurazioni il cui denominatore comune, il tassello di puzzle, appunto diventava simbolo di un'utopia, che solo gli artisti si possono consentire: quella di sperare in un mondo migliore, evidenziando le storture di quello presente, ma per sanarle.

La mostra, che qui inauguriamo, e che segue la precedente alla distanza esatta di due anni, ha lo stesso titolo, e non a caso "Il mondo in frammenti". Che, a ben guardare, potrebbe anche essere in frantumi, ove si pensi a quella data demarcatoria che ci ha così tragicamente coinvolti: l'11 Settembre 2001

Ed è un dipinto di questa mostra che ce ne rivela tutta la significativa drammaticità, ma che al tempo stesso ci addita alcuni valori, morali ed estetici, che segnano sia l'attuale momento del percorso artistico di Serfì sia il suo grido di dolore, ma anche di fede negli unici valori a cui aggrapparci: l'omaggio a Dalì è la sua scelta ben precisa d'un soggetto, il Cristo crocifisso "nucleo dell'atomo, l'unità stessa dell'Universo", come l'ha inteso il visionario pittore spagnolo, e come ora lo riaddita anche Serfì, collocandolo come nel più alto grado di tragedia cosmica come cosmica speranza.

C'è , in tutto questo per i valori formali del dipinto, e per la riflessione etico sociale fatta e suggerita, il punto focale del percorso artistico di Serfì, che non parte cronologicamente da molto lontano ma che, con lucida coerenza, si perfeziona e si consolida con la sua più recente produzione, esposta in questa mostra.

Un percorso che nasce a prescindere dalle prime esperienze degli anni ottanta soprattutto nel 1996, quando con tre amici, musicisti e poeti, realizza a Palermo la mostra multimediale "Labyrinthus vitae", in cui pittura, musica e poesia, diventano un unicum per rovistare fra i miti classici e individuarne le corrispondenze nel mondo in cui viviamo. Un progetto ambizioso coronato dal successo in termini di pubblico e di critica che voleva essere, al di là del fatto estetico, un grande messaggio di speranza e di riscatto sociale della Sicilia nel superamento degli intricati meandri dei mali che assillano il labirintico percorso della nostra vita singola e sociale.

Un invito alla meditazione per uscire dal labirinto del nostro disordine. Miti e storie che, attraverso le fascinazioni cromatiche dei simboli surreali di Serfì ( per non dire dell'apporto dei suoi colleghi Dilio e Biondolillo) giungono ancora a noi rispiegati, rivelati, tradotti in sogni prospettici, che alludono come ebbe a scrivere il compianto critico d'arte Giovanni Cappuzzo "al ritmo scomposto dell'attualità nel soffio sofferto della serie problematica di vicende che ci riguardano, come in un "input" che ci consente di scoprire motivi di evasione ed uno slancio di libertà".

Le premesse per proseguire ed approfondire il discorso con opere dalla forte valenza artistica e sociale, c'erano dunque tutte, malgrado l'obiettiva difficoltà dell'assunto. Perchè nessuno si nasconde nè Figuccia lo fa che l'inattualità di un fatto pittorico, che nasca necessitato in primissima istanza da una problematica sociale, oltre a richiamare o resuscitare dialettiche sulla funzione sociale dell'arte, su arte "pura" o meno, può far insorgere immotivati sospetti di velleitarismi programmatori o di malcelate ambizioni a posizionare nuovi "manifesti" dal contenuto scontato. Siamo, molto più semplicemente, di fronte ad una voce che esce fuori dal coro e che con tutta la spontanea freschezza chiamala, se vuoi, dolorosa ingenuità di un uomo "vivo", sensibile, dipinge denunce, figura aneliti, colora una vita e una società migliori.

La sua analisi, spietata, si scioglie in appello accorato. Idee, pensieri, sogni apparentemente in libertà: chè la libertà è invece ancora l'anelito massimo, mentre l'oppressione è ancora più estesa e più cupa. Da qui la necessità di frantumare il mondo, le sue storture, le sue contraddizioni; sezionarlo e ricomporlo in "visioni" dai cromatismi solari o plumbei, costanti espressioni di quanto di bene e di male di luce e di ombra, sia nel "soggetto - tema" in questione. Ma ecco che il messaggio (problema/simbolo/forma) si dipana come d'incanto e l'occhio viene guidato verso punti focali dalla "sceneggiatura" pittorica, identificativi di un comun denominatore che dà vita alla speranza.

Ma che si tinge, tuttavia, anche di sconforto e di sfiducia, oggi, dopo i tragici eventi dell'11 settembre. Il frammento del puzzle, quel tassello cellula di vita, improvvisamente si affloscia, si "ammolla". Il chiaro riferimento agli "orologi molli" di Dalì se da una parte connota, nella più recente produzione di Serfì, un desiderio di rifarsi più marcatamente ai canoni formali surrealistici e più in particolare dell'artista catalano dall'altra ne dirotta le significazioni metafisiche in più realistiche proposizioni contenutistiche, dove il paesaggio, la natura, gli oggetti sono i luoghi liquefatti della nostra terra, emblema universale di tutto il male e di tutto il bene del mondo.

La creazione di un modulo iterativo ( si tratti di tasselli di un puzzle, foglie lanceolate, schegge, pugni chiusi, o martelli che frantumano l'ordine armonico del mondo o ne sconvolgano la quiete), che può far da solista o moltiplicarsi in orchestra, consente a Serfì di espandere all'infinito i riverberi del suo canto, che si fa, così, cifra stilistica, la cui riconoscibilità è conquista innegabile, quanto meritoria, di una "presenza" già ben visibile nel panorama dei nuovi artisti siciliani che s'offre al secolo che inizia.

Gennaio 2000

Figuccia è una voce che esce fuori dal coro e che con tutta la sua spontanea freschezza di un uomo "vivo", sensibile quanto accorato, ma sopratutto pienamente partecipe delle più laceranti sfaccettature che "colorano" il dramma della società in cui siamo intrappolati, le svela, le descrive, le racconta, le chiarifica in simboli pittorici, lucidamente pregni di significazioni la cui prevalente surreale esteriorizzazione non incrina la "reale" percettibilità del sogno, dell'utopia. Figuccia, dunque, dipinge denunce, figura aneliti, colora una vita e una società migliori.

La sua analisi, spietata, si scioglie in appello accorato. Idee, pensieri, sogni apparentemente in libertà: chè la libertà è invece ancora l'anelito massimo, mentre l'oppressione è ancora l'ombra più estesa e più cupa. Da quì la necessità di frantumare il mondo, le sue storture, le sue contraddizioni; sezionarlo e ricomporlo in "visioni" dai cromatismi solari o plumbei, costanti espressioni di quanto di bene e di male, di luce e di ombra, sia nel "soggetto-tema" in questione.

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